IL TRATTAMENTO FISCALE DELLE CESSIONI DI OPERE D’ARTE DA PARTE DI UN SOGGETTO PRIVATO

IL TRATTAMENTO FISCALE DELLE CESSIONI DI OPERE D’ARTE DA PARTE DI UN SOGGETTO PRIVATO

INTRODUZIONE

La vendita di quadri, sculture o altri oggetti d’arte da parte di privati è un tema che solleva spesso dubbi fiscali. Quali tasse si pagano quando un privato cede un’opera d’arte? L’operazione è soggetta a IVA? E la plusvalenza va dichiarata ai fini IRPEF?

Ad oggi, la normativa tributaria italiana – e in particolare il TUIR (Testo Unico delle Imposte sui Redditi) – non contiene disposizioni specifiche che disciplinino in modo chiaro queste situazioni.
Da ciò deriva un quadro interpretativo complesso, che nel tempo è stato parzialmente chiarito dalla giurisprudenza. In particolare, l’Ordinanza della Corte di Cassazione n. 6874, depositata l’8 marzo 2023, ha fornito criteri e linee guida utili per individuare quando una cessione d’opera d’arte può considerarsi fiscalmente rilevante.

Lo scopo di questa circolare informativa è spiegare, con linguaggio semplice ma rigoroso, quando la vendita di un’opera d’arte da parte di un privato può essere considerata un’attività imponibile in base agli orientamenti della Corte di Cassazione e come avviene la tassazione nei vari casi.
Verranno analizzate le diverse figure di venditore individuate dalla Corte, le imposte applicabili (IVA e IRPEF) e alcune indicazioni pratiche per chi, da privato, intende cedere un’opera della propria collezione.

 

PRECISAZIONE IMPORTANTE

È bene sottolineare sin da subito un aspetto fondamentale: oggi manca una norma di legge specifica che disciplini in modo espresso la cessione di opere d’arte da parte di soggetti privati.
Questa lacuna normativa comporta che l’Agenzia delle Entrate, in sede di controllo, possa effettuare accertamenti con margini di discrezionalità, anche quando il contribuente si sia attenuto agli orientamenti della giurisprudenza.
Le sentenze della Corte di Cassazione, infatti, per quanto autorevoli, non costituiscono fonte normativa vincolante: si riferiscono a casi concreti e non obbligano l’Amministrazione finanziaria ad uniformarsi in via generale.

Pertanto, le indicazioni contenute nella presente circolare rappresentano linee di condotta ispirate ai più recenti principi della Cassazione, utili a orientarsi in materia e a ridurre il rischio fiscale.
Tuttavia, in mancanza di una disciplina univoca, non si può escludere che, anche comportandosi correttamente, il contribuente possa trovarsi a dover affrontare un contenzioso con l’Agenzia delle Entrate.

 

PROFESSIONISTA, SPECULATORE o COLLEZIONISTA? – LE DIVERSE FIGURE DI VENDITORE

Nell’Ordinanza della Corte di Cassazione n. 6874/2023, poi ripresa in successive sentenze (ad esempio: Cassazione, n. 1603/2024 e n. 1610/2024), vengono distinte tre categorie di venditori privati di opere d’arte, ognuna con un diverso trattamento fiscale:

  • Mercante d’arte – è il venditore professionale e abituale, colui che compra e vende opere d’arte con continuità e professionalità, con l’obiettivo principale di trarre profitto dall’incremento di valore delle opere. In altre parole, svolge di fatto una attività commerciale organizzata o comunque continuativa nel campo dell’arte, assimilabile a quella di un gallerista o antiquario.

 

  • Speculatore occasionale – è il venditore saltuario, cioè chi acquista opere d’arte solo occasionalmente, con l’intento di rivenderle per ottenere un guadagno. Si tratta di una figura intermedia: non c’è un’attività professionale continuativa, ma c’è comunque uno scopo di lucro nelle poche operazioni effettuate.

 

  • Collezionista privato – è l’appassionato d’arte puro, chi acquista opere per interesse culturale o passione personale, per arricchire la propria collezione e il proprio godimento estetico, senza intenzione di rivendere per lucro. Il collezionista acquista per il piacere di possedere l’opera e non guarda al suo valore di mercato futuro; l’eventuale cessione di qualche pezzo avviene per motivi estranei alla speculazione (ad esempio, necessità personali, riorganizzazione della collezione, ecc.).

Queste definizioni, chiarite dalla Cassazione, sono fondamentali perché il trattamento fiscale dipende dalla categoria in cui il privato venditore rientra.

In breve: il mercante d’arte agisce da vero e proprio operatore commerciale (con tasse da imprenditore), lo speculatore occasionale realizza un profitto tassabile ma con un regime diverso, mentre il collezionista vende fuori dal perimetro del fisco sulle plusvalenze.
Nei paragrafi seguenti vedremo in dettaglio quando una vendita configura attività commerciale e quali imposte si applicano nei vari scenari.

 

QUANDO LA VENDITA DIVENTA ATTIVITA’ COMMERCIALE

Un aspetto centrale è stabilire se la vendita configura un’attività commerciale abituale oppure no.
In assenza di una norma specifica del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR) per le compravendite d’arte dei privati, la giurisprudenza ha individuato nel requisito dell’“abitualità” il discrimine principale.
Questo significa che per considerare “d’impresa” (professionale) la vendita di opere d’arte da parte di un privato, occorre valutare se ci si trova di fronte a un’attività svolta con carattere di continuità, sistematicità e professionalità.

La Cassazione suggerisce di esaminare diversi fattori di fatto per capire l’intento e la natura dell’attività del venditore (Cassazione, n. 19363/2024):

  • Lo scopo dell’acquisto iniziale dell’opera: è stato acquistato principalmente per passione/cultura o sin dall’inizio con l’idea di rivenderlo a scopo di lucro?
  • La frequenza e il numero delle transazioni effettuate: vendite sporadiche e isolate indicano occasionalità, mentre vendite ripetute o una serie di operazioni suggeriscono un’attività sistematica.
  • La durata del possesso dell’opera prima della vendita: detenere un oggetto d’arte per molti anni, magari esposto in casa, è tipico del collezionista; al contrario, acquistare e rivendere in breve tempo (specie se entro pochi mesi o pochi anni) denota intento speculativo.
  • Le attività svolte per facilitare la vendita: ad esempio pubblicare annunci, partecipare a fiere o avvalersi di case d’asta per massimizzare il ricavato. Se il privato si muove attivamente come un venditore professionista, ciò è un indizio di attività commerciale organizzata.
  • Le ragioni che hanno portato alla cessione: vendere per necessità personali o per finanziare un nuovo acquisto per la propria collezione è diverso dal vendere un’opera solo perché il mercato è favorevole e si vuole incassare una plusvalenza. In sostanza, bisogna capire se dietro la vendita c’è un fine principalmente culturale/passionale oppure speculativo.

Tutti questi elementi contribuiscono a tracciare il profilo del venditore.
La giurisprudenza tributaria recente insiste sul fatto che la “abitualità” è il perno della questione.
Non esiste un numero fisso di vendite oltre il quale scatta automaticamente la qualifica di mercante, ma contano la sistematicità e la professionalità con cui il soggetto opera.
Ad esempio, sono elementi forti a favore dell’attività d’impresa: numerose vendite in serie, importi elevati movimentati, molti acquirenti diversi e tipologie eterogenee di beni venduti. Al contrario, la sporadicità e la mancanza di organizzazione fanno propendere per l’occasionalità (o addirittura per il mero collezionismo privo di rilevanza fiscale).

È importante notare che, secondo la Cassazione, anche un singolo affare di grande entità può far scattare la tassazione, se inserito in un contesto che dimostra un’attività economica non improvvisata.
In altre parole, non si può escludere a priori la qualifica di imprenditore nemmeno a chi realizzi un’unica vendita di rilievo, se questa è il frutto di una serie di operazioni preparatorie o se genera un notevole arricchimento patrimoniale (Ordinanza Cassazione n. 6874/2023).
Ad esempio, un privato che vende improvvisamente un quadro per milioni di euro potrebbe essere accertato dal Fisco. Se emergesse che quell’opera era stata acquistata appositamente anni prima aspettando che aumentasse di valore, o che parallelamente l’interessato ha venduto/comprato altre opere, il Fisco potrebbe contestare un’attività speculativa.

Di contro, un collezionista puro che vende occasionalmente un pezzo dopo tanti anni, senza aver mai operato compravendite frequenti, non può essere trattato da imprenditore.
Ad esempio, la giurisprudenza ha ritenuto non tassabile la vendita isolata di un dipinto posseduto per circa vent’anni e ricevuto in donazione, in assenza di elementi concreti di speculazione o abitualità (Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Torino, Sentenza 1101/01/2024). In quel caso specifico, la contribuente aveva venduto l’opera per esigenze personali (destinando gran parte del ricavato in beneficenza) e non svolgeva alcuna attività di commercio d’arte. Il giudice ha quindi annullato l’accertamento fiscale, sottolineando che la tassazione delle plusvalenze da opere d’arte richiede la prova di un’attività commerciale abituale o almeno di un intento speculativo concreto.

In sintesi, per i privati che cedono opere d’arte il confine tra collezionismo e attività commerciale sta nei fatti e nell’intento. È una zona grigia in cui contano il numero di operazioni, la motivazione e la modalità della vendita.
Se manca l’abitualità e manca l’intento di lucro, la vendita rimane nel privato e non genera tasse sui profitti.
Viceversa, se il comportamento del privato ricalca – anche in piccolo – quello di un operatore del mercato dell’arte, l’Agenzia delle Entrate potrà riqualificare i proventi come redditi imponibili.

 

IMPOSTE SUI REDDITI (IRPEF) e PLUSVALENZE SULLE OPERE D’ARTE

Vediamo ora come vengono tassati i guadagni (plusvalenze) derivanti dalla cessione di un’opera d’arte nelle diverse situazioni delineate:

  • Venditore = “Mercante d’arte” (attività d’impresa): in questo caso il privato è di fatto equiparato a un imprenditore. Il guadagno derivante dalla vendita è tassato come reddito d’impresa ai fini IRPEF, ai sensi dell’art. 55 del TUIR. Ciò significa che va inserito nella dichiarazione dei redditi come reddito di impresa, con possibilità di dedurre i relativi costi (incluso il costo d’acquisto dell’opera, spese di restauro, trasporto, ecc. legate all’attività). Inoltre, chi esercita un’attività commerciale abituale deve avere una partita IVA e applicare l’IVA sulla cessione dell’opera (vedremo il dettaglio più avanti). In sostanza, il “mercante” privato viene trattato dal fisco al pari di un gallerista: paga le imposte sui redditi come imprenditore individuale e adempie agli obblighi IVA come un soggetto passivo d’imposta.

 

  • Venditore = “Speculatore occasionale”: in questo scenario il privato non svolge attività d’arte in modo abituale, ma la singola operazione è considerata un’attività commerciale occasionale a scopo di lucro. Fiscalmente, il profitto realizzato viene tassato come “reddito diverso” ai fini IRPEF, ai sensi dell’art. 67, comma 1, lettera i) del TUIR. I “redditi diversi” sono una categoria residuale che include, tra gli altri, i proventi da attività commerciali non esercitate abitualmente. Pertanto, la plusvalenza ottenuta vendendo l’opera (cioè la differenza tra il prezzo di vendita e il costo di acquisto/costo originario, al netto di eventuali spese inerenti documentate) va dichiarata nel quadro dei redditi diversi della dichiarazione annuale. Essa verrà assoggettata a IRPEF ordinaria, concorrendo con gli altri redditi del contribuente. Non è dovuta l’IVA su questa operazione, poiché manca il requisito dell’abitualità commerciale (il privato speculatore occasionale non è un soggetto IVA). In pratica, lo “speculatore occasionale” paga l’IRPEF sul guadagno ma non addebita l’IVA al compratore. Da notare che, trattandosi di attività occasionale, non vi è obbligo di iscrizione al Registro delle Imprese o apertura di partita IVA; tuttavia permane l’obbligo di dichiarare il reddito ottenuto.

 

  • Venditore = “Collezionista privato”: questa è la situazione più favorevole. Secondo la Cassazione, se la cessione avviene nell’ambito della gestione del proprio patrimonio personale, senza intento speculativo e senza abitualità, il privato non deve alcuna imposta sul reddito su quanto ricavato. In altri termini, la plusvalenza realizzata dal collezionista puro non è imponibile ai fini IRPEF. Non trattandosi di reddito fiscalmente rilevante, non andrà indicato in dichiarazione (nessun obbligo dichiarativo). Naturalmente resta fermo l’obbligo di rispettare le norme sulla tracciabilità dei pagamenti, ove applicabili, ma di questo diremo a breve.

Un punto particolare riguarda le opere d’arte ricevute per eredità o donazione.
Se l’oggetto non è stato acquistato dal privato, ma è entrato nel suo patrimonio a titolo gratuito, la successiva vendita “non configurerebbe” di per sé un’attività commerciale tassabile. In tali casi, infatti, manca a monte quell’“acquisto in funzione di rivendita” tipico sia del mercante sia dello speculatore.
La cessione di un bene ereditato o donato verrebbe vista dunque come mera gestione del proprio patrimonio (una dismissione patrimoniale), che di regola non genera reddito imponibile.
Questo non significa che qualunque vendita post-donazione sia automaticamente immune: se il contesto complessivo tradisse comunque un intento speculativo (es. un erede che in breve tempo vende molte opere ereditate aprendo di fatto un’attività), il Fisco potrebbe comunque intervenire con un accertamento.

 

TRATTAMENTO IVA: QUANDO SI APPLICA L’IMPOSTA SUL VALORE AGGIUNTO

Un altro profilo importante è quello dell’IVA (Imposta sul Valore Aggiunto) sulle vendite di opere d’arte.
In generale, le cessioni effettuate da un privato che non agisce nell’esercizio di attività d’impresa o professionale non sono operazioni soggette a IVA. Dunque, se un collezionista vende un quadro a un altro privato, la transazione non richiede l’addebito dell’IVA in fattura né altre formalità IVA – è una vendita “tra privati” fuori campo IVA.
Anche la figura dello speculatore occasionale, come visto, non raggiunge la soglia dell’abitualità, quindi non diventa un soggetto passivo IVA: la sua vendita resta fuori dal campo di applicazione dell’IVA.
Il compratore in questi casi pagherà il prezzo pattuito senza imposta aggiuntiva (eventualmente potrebbe esserci da assolvere solo l’imposta di registro qualora la vendita fosse formalizzata per iscritto, ma non vi è obbligo di registrazione se la cessione avviene con semplice fattura/ricevuta tra privati).

Discorso diverso per il mercante d’arte: qui il privato operando abitualmente diventa a tutti gli effetti un soggetto IVA. Pertanto, sulle vendite delle opere deve applicare l’IVA alle aliquote previste.

Fino a poco tempo fa, la vendita di opere d’arte nel regime ordinario scontava l’aliquota IVA standard (22%) salvo alcune eccezioni – ad esempio, la cessione da parte dell’autore o dei suoi eredi era al 10%.
Dal 1° luglio 2025, tuttavia, la normativa IVA è cambiata in meglio per il mercato dell’arte: è stata introdotta un’aliquota IVA ridotta unica al 5% per la generalità delle cessioni di oggetti d’arte, antiquariato o da collezione.
Questa novità, recependo una direttiva UE (2022/542) e attuata con il D.L. 95/2025, mira a rendere più competitivo il mercato italiano. In pratica: oggi qualsiasi vendita di opere d’arte effettuata da un soggetto IVA (galleria, mercante professionale o privato qualificato come tale) sconta l’IVA al 5%.
L’aliquota ridotta si applica anche alle importazioni e agli acquisti intracomunitari di opere d’arte, antiquariato o collezione.
Fa eccezione solo il caso in cui il venditore applichi il regime speciale del margine (riservato ai rivenditori di beni usati, d’arte o da collezione, che prevede modalità particolari di calcolo dell’IVA sul solo margine di profitto) – in tal caso, restano ferme le regole proprie di quel regime.

Per riassumere la situazione IVA: un privato occasionale o collezionista non deve preoccuparsi dell’IVA quando vende la propria opera (non la deve applicare né versare). Un privato che invece svolge vendita di opere come attività economica abituale deve aprire partita IVA e applicare l’imposta sulle vendite.
Attualmente l’IVA sulle opere d’arte è al 5%, quindi abbastanza favorevole rispetto al passato; resta però l’onere di tutte le formalità connesse (fatturazione, registro vendite, versamenti periodici, etc.), come per ogni attività d’impresa.

 

RIEPILOGO DEI REGIMI FISCALI PER LE VENDITE DI OPERE D’ARTE

È utile a questo punto riepilogare i possibili scenari fiscali, sempre secondo la Cassazione, in una tabella semplificata:

  • Collezionista privato (no intento speculativo)Nessuna tassazione IRPEF sulla vendita. La plusvalenza realizzata non è imponibile (niente imposte sul reddito né dichiarazione). Nessuna IVA da applicare, trattandosi di operazione estranea all’attività d’impresa. (Esempio: vendo un quadro ereditato o comprato 20 anni e dono in beneficenza il ricavato – non devo pagare tasse sul ricavato).

 

  • Speculatore occasionale (operazione isolata speculativa)Tassazione IRPEF come “reddito diverso”. Il guadagno (plusvalenza) va dichiarato tra i redditi diversi ex art. 67 TUIR e viene tassato con l’aliquota IRPEF del contribuente. IVA non applicabile, poiché l’attività non è abituale. (Esempio: compro un’opera e dopo 1 anno la rivendo guadagnando – devo dichiarare quel guadagno nella dichiarazione dei redditi, ma non devo addebitare l’IVA sulla vendita).

 

  • Mercante d’arte privato (attività abituale)Tassazione IRPEF come reddito d’impresa. I proventi confluiscono nel reddito d’impresa del venditore (con relative deduzioni di costi). IVA dovuta sulle vendite, con aliquota del 5% (dal 2025) se si adotta il regime IVA ordinario. Necessaria l’apertura di partita IVA e il rispetto di tutti gli obblighi fiscali di legge. (Esempio: negli ultimi anni ho comprato e venduto svariate opere con regolarità – il Fisco mi considera un operatore commerciale, quindi devo dichiarare i redditi come impresa e applicare l’IVA su ogni vendita).

 

CONSIGLI PRATICI PER I PRIVATI CHE VENDONO OPERE D’ARTE

Vendere un’opera d’arte importante può essere un evento raro nella vita di una persona.
Ecco alcune indicazioni pratiche e precauzioni da seguire per chi, da privato, si accinge a cedere un bene artistico:

  • Conservare la documentazione di acquisto e di vendita. È fondamentale tenere traccia di come e quando si è acquisita l’opera (fattura o ricevuta d’acquisto, dichiarazione di donazione o di successione, ecc.) e di come avviene la vendita (contratto, ricevuta, fattura della casa d’aste, ecc.). Questi documenti saranno preziosi per dimostrare la storia del pezzo, il periodo di possesso e l’eventuale costo di acquisto. In caso di controlli, poter provare di aver detenuto l’opera per lungo tempo o di averla ricevuta per successione/donazione può supportare la tesi che siete un collezionista non tassabile. Inoltre, avere prova del prezzo di acquisto iniziale permette, se dovuto, di calcolare correttamente la plusvalenza da dichiarare (ricavo meno costo).

 

  • Usare metodi di pagamento tracciabili: Le normative antiriciclaggio in Italia impongono di non effettuare pagamenti in contanti al di sopra di una certa soglia (attualmente €5.000 per singola transazione). Per cifre superiori è obbligatorio utilizzare strumenti tracciabili (bonifico bancario, assegno non trasferibile, carta di credito/debito, ecc.). Nella vendita di un’opera d’arte di valore è dunque d’obbligo effettuare pagamenti tracciati, sia per rispettare la legge sia per creare evidenza dell’avvenuta transazione. Questo tutela entrambe le parti e rende l’operazione trasparente. Da un punto di vista fiscale, la tracciabilità è importante perché le movimentazioni finanziarie rilevanti sono monitorabili dall’Agenzia delle Entrate. Se ricevete ad esempio un bonifico consistente per la vendita, sarà chiaro a cosa è dovuto (meglio anche inserire una causale esplicita). Ciò evita che quel flusso di denaro venga scambiato per “redditi in nero” di altra natura e, se richiesto, potrete esibire il contratto di vendita o la documentazione relativa per giustificarlo.

 

  • Valutare la frequenza e la modalità delle vendite: Se avete intenzione di cedere più opere nel tempo, pianificate con attenzione per non oltrepassare (anche involontariamente) il confine verso l’attività d’impresa. Ad esempio, vendere occasioni sporadiche della vostra collezione può rientrare nella sfera privata, ma se iniziate a comprare opere con l’idea di rivenderle a breve o fate vendite ripetute ogni anno, potrebbe emergere un quadro di sistematicità. In tal caso è consigliabile confrontarsi con un esperto fiscale: potrebbe essere opportuno dichiarare i proventi come redditi diversi sin da subito (per non incorrere in sanzioni), o addirittura valutare l’apertura di una partita IVA se l’attività diventa regolare. Ricordate che la Cassazione ha affermato che anche un solo affare, se di grande valore e non isolato da un contesto, può essere tassato come attività d’impresa. Meglio quindi essere prudenti: se le vendite d’arte stanno diventando per voi più di un semplice hobby, informatevi sulle implicazioni fiscali prima che intervenga il Fisco.

 

  • Dichiarare le plusvalenze quando dovuto: Nel caso realizziate una vendita con chiaro intento speculativo – ad esempio comprate oggi un oggetto d’arte e lo rivendete dopo pochi mesi ricavando un margine consistente – ricordate che quel guadagno è imponibile. Anche se è una singola operazione, la legge lo inquadra come reddito diverso da attività commerciale occasionale. Pertanto va inserito nella vostra dichiarazione dei redditi relativa all’anno in cui incassate il corrispettivo, compilando l’apposito quadro (sezione “Altri redditi” – redditi diversi). Molti privati potrebbero non essere a conoscenza di questa regola, ma omettere di dichiarare una plusvalenza del genere espone al rischio di successivi accertamenti e sanzioni.

 

  • Attenzione ai controlli e ai “segnali d’allarme”: Come accennato, le vendite d’arte di notevole importo difficilmente passano inosservate. Le case d’asta e gli operatori professionali, ad esempio, segnalano spesso le transazioni alle autorità (anche per fini di antiriciclaggio). Inoltre, pagamenti di elevata entità in entrata sul vostro conto bancario potrebbero attivare verifiche fiscali. In caso di accertamento, l’onere di provare la natura non tassabile dell’operazione potrebbe ricadere in pratica su di voi: il Fisco infatti, trovando un’entrata significativa non dichiarata, potrebbe presumere che sia reddito occulto da attività commerciale. Preparatevi dunque a giustificare la vendita spiegandone le ragioni e fornendo tutti gli elementi a vostro favore: ad esempio, che si trattava di un pezzo della vostra collezione personale accumulata negli anni, che la vendita è stata isolata ed eccezionale (magari per necessità personali), o che il ricavato è servito per acquistare un’altra opera (segno che l’intento era più culturale che speculativo). Se avete destinato il ricavato ad usi non lucrativi (come nel caso di una donazione in beneficenza), evidenziatelo pure – non è un’esimente fiscale in sé, ma contribuisce a mostrare l’assenza di fine di profitto. In definitiva, tenete un profilo di coerenza: comportamenti palesemente da “commerciante” (come vendere più opere simili a diversi acquirenti in breve tempo, o fare pubblicità alle vostre vendite) verranno notati e potranno far scattare contestazioni.

 

EVOLUZIONE DELLA NORMATIVA E CONSIDERAZIONI FINALI

Va segnalato che il quadro normativo su questo tema è in evoluzione.
La Legge Delega per la riforma fiscale (L. 111/2023) ha riconosciuto la necessità di regole più chiare sulla tassazione delle plusvalenze da opere d’arte vendute dai privati.
In particolare, il Parlamento ha chiesto al Governo di escludere da tassazione i casi in cui manca un intento speculativo, con esonero dei contribuenti da obblighi dichiarativi patrimoniali in tali ipotesi.
La relazione alla legge delega cita espressamente come non tassabili le vendite di opere acquisite per successione o donazione, trattandosi di mere dismissioni patrimoniali prive di carattere speculativo.
Inoltre, vengono fatti esempi di situazioni da considerare indici di finalità non lucrative: lo scambio (permuta) di opere tra collezionisti – dove non c’è monetizzazione, ma solo arricchimento culturale reciproco – e il reinvestimento del ricavato della vendita nell’acquisto di altre opere entro un congruo periodo, segno che l’operazione è finalizzata a rinnovare o migliorare la collezione e non a realizzare liquidità.
Questi principi dovranno essere tradotti in norme concrete da uno o più decreti legislativi attuativi.

Fino ad allora, come evidenziato dallo stesso legislatore delegante, continueranno ad applicarsi gli orientamenti giurisprudenziali consolidati – in primis proprio quelli formulati dalla Cassazione nel 2023-2024 (ordinanza n. 6874/2023 e sentenze n. 1603/2024, 1610/2024, 19363/2024, ecc.), che abbiamo illustrato in questa circolare.

In conclusione, secondo la Cassazione, la cessione di opere d’arte da parte di privati può o non può essere imponibile a seconda della natura che assume: attività d’impresa, attività occasionale commerciale oppure semplice gestione del patrimonio personale.

Il collezionista puro, se vende senza scopo di lucro e senza organizzazione d’impresa, non dovrà pagare IRPEF né IVA sul prezzo ottenuto.
Lo speculatore occasionale invece deve sapere che la plusvalenza realizzata è un reddito tassabile (va dichiarato come reddito diverso) anche se l’operazione è unica.
Il mercante di fatto infine è trattato come un vero operatore economico, con tutti gli obblighi fiscali connessi, IVA inclusa.

Per i privati, il messaggio è chiaro: prima di vendere un’opera di valore, è bene valutare la propria posizione.
Chiedersi quale sia la finalità (collezione o profitto) e con che frequenza si effettuano transazioni aiuterà a capire in quale categoria si rientra.
In caso di dubbio, conviene consultare un professionista fiscale per non incorrere in violazioni involontarie.
Le recenti pronunce della Cassazione offrono un utile vademecum, e la normativa futura potrebbe rendere ancor più netto il confine a tutela dei veri collezionisti.

Nel frattempo, buon collezionismo e buone vendite, all’insegna della passione per l’arte e della correttezza fiscale!

Marco Mastromattei
info@studiomastromattei.it
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