29 Dic DISCIPLINA FISCALE DEI TRUST AI FINI DELLA IMPOSIZIONE DIRETTA E INDIRETTA. PARTE PRIMA
Analisi delle indicazioni fornite dalla Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 34/E del 20.10.2022
Premessa
La Circolare in oggetto fornisce indicazioni sulla disciplina fiscale dei trust ai fini della imposizione diretta, alla luce delle modifiche normative introdotte dal D.L. n. n. 124/2019 (nel seguito indicato come “Decreto”) ed ai fini della imposizione indiretta, recependo l’orientamento della consolidata giurisprudenza dalla Corte di Cassazione.
Più in particolare, il Decreto ha modificato la disciplina della tassazione dei redditi attribuiti da trust stabiliti in Paesi a fiscalità privilegiata a soggetti residenti in Italia.
Più in particolare, il Decreto ha fornito regole specifiche per i così detti “trust opachi”, ovvero trust dove i beneficiari dei redditi non sono “individuati”, allo scopo di evitare che la residenza fiscale del trust in un Paese con regime fiscale privilegiato, comporti la detassazione dei redditi attribuiti ai soggetti italiani.
Le indicazioni fornite dal Decreto possono essere così sintetizzate:
- I redditi corrisposti da “trust opachi” stabiliti in Paesi a fiscalità privilegiata a beneficiari residenti in Italia sono considerati redditi di capitale tassati in capo agli stessi beneficiari.
- Nel caso in cui non sia possibile distinguere tra redditi e patrimonio corrisposti, l’intero ammontare percepito costituisce reddito e come tale viene tassato.
Con riferimento, invece, alle imposte indirette, il recente orientamento della Corte di Cassazione ha stabilito che la “dotazione” iniziale di beni e diritti nel trust, non dà luogo di per sé ad un effettivo trasferimento di beni o diritti ai beneficiari, e, quindi, ad un loro “arricchimento”.
Per questo motivo, la “dotazione” non sconta l’imposta sulle successioni e donazioni, che invece viene applicata nel momento del trasferimento effettivo del patrimonio al beneficiario.
La circolare fornisce inoltre chiarimenti con riferimento ai trust istituiti a favore dei soggetti con disabilità gravi, cosiddetti “trust dopo di noi”, alla disciplina degli obblighi di monitoraggio fiscale, e in relazione all’ applicazione dell’imposta sul valore degli immobili detenuti all’estero (IVIE) e dell’imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all’estero (IVAFE) dovute da trust residenti in Italia.
1. Profili civilistici del trust
Il trust è entrato nell’ordinamento italiano con la ratifica della Convenzione dell’Aja del 1° luglio 1985, ad opera della Legge n. 364/1989, entrata in vigore dal 1° gennaio 1992.
Il trust può essere inteso come un rapporto giuridico fiduciario mediante il quale un soggetto definito disponente (o settlor) trasferisce ad un altro soggetto, definito trustee, beni di qualsiasi natura, affinché quest’ultimo li gestisca e li amministri, coerentemente con quanto previsto dallo stesso settlor nell’atto istitutivo del trust, nell’interesse di un beneficiario oppure per il raggiungimento di un fine specifico.
L’effetto principale dell’istituzione di un trust è la segregazione patrimoniale in virtù della quale i beni in trust costituiscono un patrimonio separato e autonomo rispetto al patrimonio del disponente o settlor, del trustee e del beneficiario, con la conseguenza che tali beni non potranno essere aggrediti dai creditori di tali soggetti.
L’articolo 2 della citata Convenzione dell’Aja, oltre a fornire la definizione di trust, ne individua caratteristiche essenziali, ovvero:
- i beni del trust costituiscono una massa distinta e non fanno parte del patrimonio del trustee;
- i beni del trust sono intestati a nome del trustee o di un’altra persona per conto del trustee;
- il trustee è investito del potere e onerato dell’obbligo, di cui deve rendere conto, di amministrare, gestire o disporre beni secondo i termini del trust e le norme particolari impostegli dalla legge.
Nella pratica, esistono diversi tipi di trust distinti in base alle finalità perseguite.
Si possono avere, per esempio:
- “trust di scopo”, istituiti per il perseguimento di uno specifico e determinato fine individuato dal disponente;
- “trust familiare”, istituiti con finalità di assistenza o in vista della successione;
- “trust dopo di noi”, istituiti a favore dei soggetti con disabilità gravi;
- “trust di garanzia”, istituiti per tutelare l’interesse di uno o più creditori del disponente;
- “trust liquidatorio”, istituiti per realizzare la liquidazione dell’attivo dei beni del disponente.
Al di là delle finalità perseguite, si possono distinguere anche:
- “trust autodichiarati”, nei quali il disponente riveste anche la carica di trustee;
- “trust discrezionali” nel caso in cui il disponente si riserva la facoltà di nominare in un momento successivo i beneficiari ovvero rimette al trustee o ad un protector (o guardiano) l’individuazione degli stessi, delle loro rispettive posizioni o delle modalità e dei tempi di attribuzione dei benefici.
Attualmente, non è presente nell’ordinamento italiano una disciplina organica del trust.
2. Apporto di beni in un trust
L’apporto di beni in un trust ai fini delle imposte sui redditi sconta un trattamento differenziato che varia in funzione della natura del disponente, imprenditore o non imprenditore e della tipologia di bene trasferito.
Disponente imprenditore
Se il disponente è un imprenditore, l’apporto di beni relativi all’impresa (beni merce, beni strumentali, beni patrimoniali) configura un trasferimento per finalità estranee all’impresa. Ciò comporta per il disponente il conseguimento di componenti positivi di reddito da assoggettare a tassazione, nonché l’assoggettamento ad IVA.
In particolare, il trasferimento al trust di beni merce comporta il conseguimento di un ricavo d’esercizio, da quantificare sulla base del valore normale dei beni.
Il trasferimento di beni strumentali e beni patrimoniali dell’impresa, invece, genera plusvalenze o minusvalenze rilevanti ai fini della determinazione del reddito d’impresa.
Anche in tali fattispecie il valore da prendere a riferimento per il calcolo della plusvalenza è il valore normale dei beni.
Disponente non imprenditore
Nel caso di apporto al trust di beni diversi da quelli relativi all’impresa, in assenza di corrispettivo, non si genera materia imponibile, ai fini della imposizione sui redditi, né in capo al disponente non imprenditore né in capo al trust, sempreché lo stesso non si qualifichi commerciale.
Tuttavia, nel caso di apporto di attività finanziarie, il trasferimento del bene in un rapporto diverso da quello di provenienza può costituire un’ipotesi fiscalmente realizzativa per espressa disposizione normativa.
In particolare, se oggetto di trasferimento sono titoli detenuti nell’ambito di un rapporto amministrato o gestito, il trasferimento si considera effettuato a titolo oneroso.
Riferimenti:
Circolare Agenzia Entrate n. 34/E del 20.10.2022
Circolare Agenzia Entrate n. 48/E del 06.08.2007
Circolare Agenzia Entrate n. 61/E del 27.12.2010
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