25 Ott I conti correnti svizzeri della “lista Falciani”
Il presente articolo è tratto dalla lettura di diversi articoli sulla “lista Falciani” apparsi su Il Sole 24 Ore tra marzo e ottobre di quest’anno.
La così detta “lista Falciani” è un enorme insieme di informazioni segrete su conti correnti e relativi proprietari che il sig. Hervè Falciani ha sottratto ad uno dei più grandi istituti di credito del mondo, la banca HSBC.
Ripercorriamo brevemente la vicenda.
Hervè Falciani, esperto informatico nato nel Principato di Monaco, viene assunto agli inizi degli anni duemila dalla HSBC Private Bank per occuparsi della sicurezza informatica dell’istituto.
Promosso sul campo, dopo breve tempo viene spedito in Svizzera, a Ginevra, nel centro nevralgico della banca.
Il sig. Falciani è davvero bravo nel proprio lavoro: da quando c’è lui, nessuno è in grado di penetrare il sistema informatico della banca… se si esclude lui, naturalmente.
E così, un po’ alla volta, riesce a ricopiare sul proprio computer portatile una quantità enorme di dati e informazioni riservate riguardanti l’introversa clientela dell’istituto bancario.
Alla fine del 2008, poco prima di essere fermato dalla polizia elvetica, a cui nel frattempo era giunta una segnalazione, Falciani riesce a scappare in Francia dove consegna alle autorità francesi tutti i dati sottratti alla HSBC.
Dalla Francia si apprende che la “lista Falciani” contiene informazioni segrete su oltre 127mila conti correnti riconducibili a 80mila persone residenti in mezzo mondo.
Di queste informazioni, una porzione generosa è riconducibile a soggetti residenti in Italia: sarebbero oltre settemila i conti correnti della lista intestati a nostri connazionali, per un valore complessivo di diversi miliardi di euro.
Ma la “lista Falciani” non è un semplice elenco di saldi di conti corrente e relativi proprietari.
Le informazioni che contiene sono molte di più e più interessanti.
Potremmo immaginare la lista come un insieme di migliaia e migliaia di fogli elettronici formato excel.
Ciascun foglio identifica un cliente della banca.
Di ciascun cliente sono indicate le generalità, la consistenza del conto corrente presso la HSBC e la consistenza di eventuali beni quali titoli di stato, polizze assicurative, obbligazioni e azioni comprati con i soldi depositati su quel conto.
In ciascun file excel, poi, sono elencate e descritte tutte le società che direttamente o indirettamente fanno capo al titolare del conto e che sono state costituite in funzione di quel conto corrente.
Vengono inoltre elencati i nominativi delle persone legate al cliente della banca che hanno accesso ai suoi depositi.
Ma la parte più interessante di ciascun file è forse quella in cui sono contenuti i così detti “visiting report”. Questi rappresentano una descrizione dei contatti avvenuti tra la banca e il suo cliente.
I “visiting report” sono previsti da una raccomandazione del Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria con l’obiettivo di lasciare una traccia dei rapporti tra il cliente e gli istituti bancari.
In pratica, nei “visiting report” sono descritti gli ordini che il cliente ha impartito al gestore della banca e la tipologia di operazione che sottende a quell’ordine.
Una volta appresa l’esistenza della “lista Falciani”, dall’Italia sono partite due iniziative.
La prima è stata intrapresa dalla Procura di Torino che, attraverso una rogatoria internazionale, all’inizio di aprile 2010 ha richiesto alla Francia l’elenco dei nominativi dei correntisti italiani.
La rogatoria è necessaria per ottenere formalmente prove da poter utilizzare in un eventuale processo ed evitare contestazioni circa l’irrituale acquisizione delle informazioni.
La seconda azione è partita dalla Guardia di Finanza che attraverso i canali della cooperazione con la polizia francese ha ottenuto già da tempo la parte della “lista Falciani” che interessa l’Italia e sta procedendo alle prime verifiche.
Le azioni intraprese dalla Procura di Torino e dalla Guardia di Finanza hanno il fine di accertare se su uno o più di quei conti bancari vi siano depositati soldi frutto di evasione fiscale e riciclaggio.
E’ bene precisare che i conti svizzeri regolarmente posseduti da soggetti italiani (cioè, quei conti che sono stati regolarmente dichiarati al fisco, alimentati da transazioni finanziarie certe e trasparenti e su cui sono state regolarmente pagate le eventuali imposte), non sono oggetto di indagine.
Su tutti gli altri è concentrata l’attenzione della Guardia di Finanza che però deve confrontarsi con un altro aspetto: lo “scudo fiscale”.
E’ prevedibile, infatti, che diversi titolari dei conti “irregolari”, avvertiti dalla HSBC della “fuga di notizie”, siano corsi ad utilizzare questo strumento per regolarizzare i propri depositi e mettersi al riparo da possibili contestazioni del fisco.
C’è da domandarsi in quanti abbiano usufruito dello “scudo fiscale” e soprattutto se abbiano “scudato” l’intera consistenza del deposito tenuto irregolarmente, o solo una parte.
Per un approfondimento sullo scudo fiscale si rimanda alla fine di questo articolo.
Quello che secondo noi risulta interessante dell’intera vicenda non sono tanto i nominativi della “lista Falciani” o quanta materia imponibile si riuscirà a recuperare a tassazione, ma il quadro generale che se ne può ricavare.
Partiamo dai “visiting report”. Questi descrivono le architetture messe in piedi al solo fine di nascondere agli occhi del mondo l’effettiva proprietà di una determinata risorsa finanziaria.
I soldi continuano a rimanere in Svizzera, ma la proprietà è celata dietro una moltitudine di società anonime, trust e società off shore rappresentate da azioni al portatore, costituite in paradisi fiscali quali Panama o le Isole Vergini.
Dalla lettura dei colloqui col cliente, che i gestori della HSBC riportano con scrupolo nei “visiting report”, si può cogliere una vera e propria ansia da anonimato che colpisce molti correntisti e che i gestori stessi cercano di “sedare” proponendo sempre nuove e più esotiche soluzioni.
Ora, tenere nascosta la proprietà di un determinato bene, non è di per sé un’azione censurabile.
Lo diventa se tale azione è fatta per nascondere un reato.
Facciamo un esempio.
Se il sig. Paperone è un imprenditore soggetto a minacce di sequestro e volesse evitare che il suo patrimonio sia oggetto di attenzione da parte di malintenzionati, potrebbe adoperare qualsiasi strumento, quali società fiduciarie o altro, per fare in modo che il suo patrimonio non possa essere facilmente ricondotto alla sua persona.
Ma se il sig. Paperone vuole nascondere il proprio patrimonio perché frutto di evasione fiscale, questa diventa un’azione censurabile.
Ora, dalla lettura dei “visiting report” sembra che di paperi minacciati dall’anonima sequestri ce ne siano ben pochi, abbondano, invece, quelli che evadono il fisco.
Lo Scudo Fiscale
Il così detto “scudo fiscale” è una norma che disciplina l’emersione delle attività finanziarie e patrimoniali detenute all’estero dai residenti in Italia in violazione degli obblighi valutari e tributari.
La disciplina consente la regolarizzazione o il rimpatrio di tutte quelle attività, sconosciute al fisco italiano, detenute all’estero alla data del 31 dicembre 2008.
Non possono usufruire di tale sanatoria le società di capitali.
I tempi per l’adesione allo “scudo fiscale” sono compresi tra il 15 settembre 2009 ed il 15 dicembre 2009.
Una successiva riapertura della sanatoria ha posticipato il termine ultimo al 30 aprile 2010.
Il contribuente che intendeva usufruire dello “scudo fiscale” era tenuto a consegnare ad un intermediario abilitato (per esempio, la propria banca) una dichiarazione riservata in cui indicava le attività detenute all’estero che voleva regolarizzare.
Doveva, inoltre, mettere a disposizione della banca una somma di denaro necessaria per il pagamento dell’imposta straordinaria calcolata sulla base delle attività indicate nella stessa dichiarazione.
L’imposta straordinaria è pari al 5% delle attività regolarizzate.
L’aliquota sale al 7% nel caso in cui il contribuente ha usufruito della proroga al 30 aprile 2010.
L’emersione di tali attività può avvenire tramite il rimpatrio (le attività detenute in uno Stato estero vengono trasferite in Italia) o tramite la regolarizzazione (le attività detenute in uno Stato estero che garantisce un effettivo scambio di informazioni fiscali con l’Italia vengono mantenute all’estero).
Nei confronti del contribuente che ha usufruito dello “scudo fiscale” è preclusa ogni attività di accertamento tributario e contributivo sui periodi di imposta sino al 31 dicembre 2008 ma solo limitatamente agli imponibili che sono oggetto di rimpatrio o di regolarizzazione.
Con riferimento agli effetti penali delle operazioni di emersione, si rendono non punibili reati quali la dichiarazione fraudolenta, la dichiarazione infedele, l’occultamento o la distruzione di documenti contabili e le false comunicazioni sociali (falso in bilancio).
L’Agenzia delle Entrate, attraverso la Circolare n. 3/E del 29.01.2010, ha precisato che la disciplina dello “scudo fiscale” non è assimilabile ad un condono poiché “non inibisce incondizionatamente l’esercizio dell’attività di accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria”.
Il condono, inoltre, copre intere annualità, mentre lo “scudo fiscale” copre solo le attività indicate dal contribuente nella dichiarazione riservata.
In pratica, gli Uffici finanziari possono comunque procedere ad una verifica sulle attività detenute all’estero in maniera irregolare anche da parte di quei soggetti che hanno usufruito dello “scudo fiscale”.
Se da tale verifica risultasse che le attività indicate nella dichiarazione riservata, sulle quali il contribuente ha pagato l’imposta straordinaria, sono di ammontare inferiore rispetto a quelle accertate in sede di controlli, sulla differenza l’Ufficio può emettere regolare Avviso di Accertamento.
Marco Mastromattei
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